Amazon: modello da imitare o da evitare?

Recentemente, a proposito di Amazon, su un social ho letto una frase – di cui non conosco l’autore e quindi mi scuso con lo stesso per non poterlo citare – che rappresenta, a mio giudizio, la sintesi perfetta delle contraddizioni che Amazon scatena: “Perché ci lamentiamo di Amazon se non riusciamo ad essere all’altezza di Amazon?

Effettivamente è ciò che accade quando si parla della creatura di Jeff Bezos. Amazon, l’everything store, il punto vendita con assortimento infinito, rappresenta un fenomeno da tanti punti di vista, ed è quasi inevitabile che generi reazioni contrastanti non sempre orientate ad una sana e legittima critica costruttiva!

Ciò premesso, il mio intento in questo breve articolo non è quello di sbilanciare la discussione da una parte o dall’altra, anche se il titolo che ho scelto potrebbe trarre in inganno. Il mio obiettivo è molto più semplice (o forse no!): vorrei richiamare l’attenzione del lettore solo su alcune considerazioni … e poi lasciare allo stesso le conclusioni che ritiene più opportune.

Ho parlato di Amazon usando il termine “fenomeno”: effettivamente guardando i numeri non credo si possa dire il contrario: nei primi nove mesi del 2020 (dati riportati da  Affari&Finanza del 7/12/20), questa azienda ha incassato 260 mld di dollari con un valore in Borsa di 1600 (quasi quanto il PIL Italiano), ha assunto 427 mila persone (solo in Italia l’incremento dovrebbe essere di 1600 unità portando così il totale a 8500 addetti), ha realizzato un utile di 14 mld … cos’altro aggiungere?

Che si tratti di un fenomeno credo sia indubbio, e lo è non soltanto per i numeri che ho appena riportato, ma soprattutto per il carattere rivoluzionario del suo modello di business e organizzativo che ha permesso ad aziende e a consumatori, quindi a domanda e a offerta, di incrociarsi a condizioni economiche e logistiche mai viste prima.

Chi non ha mai fatto un acquisto su Amazon? Credo siano rimasti in pochi; e quale azienda oggi potrebbe mettere seriamente in discussione la visibilità offerta da questa vetrina digitale a livello mondiale? Anche in questo caso credo sia difficile trovarne un gran numero! Solo in Italia, l’azienda, in un suo recente report, ha dichiarato che nella sua vetrina sono presenti 14 mila aziende che nel 2019 hanno esportato beni per circa 500 mln di euro generando un incremento di circa 25 mila posti di lavoro.

Numeri importanti che chiaramente hanno ricadute, come visto, anche in ambito occupazionale e, lasciatemi dire, letti con attenzione, dovrebbero generare curiosità e interesse in tutti coloro che, a vario titolo, oggi si confrontano con le difficoltà/opportunità che la rivoluzione digitale e la devastante pandemia hanno determinato!

Amazon naturalmente non è solo questo, essendo un’azienda così grande che ha aperto nuove prospettive spingendo la frontiera dell’innovazione un po’ più in là, ha inevitabilmente generato delle situazioni che a volte hanno determinato degli attriti e delle contraddizioni.

In questo quadro rientrano, per esempio, le contestazioni  sindacali su ipotizzate soluzioni adottate dall’azienda per controllare i lavoratori; quelle dei Paesi dove il gigante dell’e-commerce sembrerebbe lasciare solo le briciole in termini di tasse; quelle ancora recentemente mosse da Bruxelles che parrebbe orientata ad aprire un’indagine per abuso di posizione dominate … insomma i problemi da risolvere sono tanti, e tutti meritano grande attenzione e rispetto.

Ci si muove, dunque, tra luci e ombre: se da una parte l’efficienza del servizio ha scoraggiato molte aziende che si sono arrese senza sforzarsi di trovare soluzioni innovative e creative in grado di contrastare questo tsunami digitale, dall’altra ha generato una risposta forte che ha visto big come Ikea virare con decisione verso l’integrazione, nel suo modello fisico, del canale online. Questa efficienza ha registrato una risposta significativa, e per certi versi inaspettata, anche da parte di tante piccole realtà e negozi di quartiere che, secondo quanto segnalato dai Punti Digitali delle Camere di Commercio, hanno prontamente reagito reiventandosi una presenza online per gestire il lockdown. Dai dati raccolti dai Punti Digitali sembrerebbe, infatti, che da maggio a settembre – superata la prima fase di chiusura totale – si sia registrato un più 4% di pmi che si sono dotate di un  e-commerce con un incremento del 5% di quelle che si sono organizzate per l’e-payment.

Numeri interessanti (ricordiamoci che le nostre micro imprese e pmi non hanno mai brillato per reattività), che dipendono, almeno in parte, anche dalla spinta determinata dallo strapotere di Amazon che, da player principale dell’e-commerce, ha tracciato una via da cui molti, per fortuna, hanno capito non si poteva più tornare indietro!

Io mi fermo qui mantenendo fede alla promessa fatta: che sia il lettore a dire l’ultima parola.

Chiudo citando Paulo Coelho: “si scorge sempre il cammino migliore da seguire, ma si sceglie di percorre solo quello a cui si è abituati”. Sarà così anche in questo caso?

 

Giuseppe Mizio

Senior Sales & Data Consultant